Lo sguardo della madre
L’occhio del bambino punta lo sguardo in maniera privilegiata ed esclusiva verso chi si prende cura di lui.
Allo stesso modo lo sguardo di quest’ ultimo si rivolge in maniera privilegiata verso quello del bambino.
Nonostante i chiari vantaggi evolutivi, sappiamo che non è solo strumentale lo sguardo reciproco.
Ad esempio, scimmie appena nate e separate dalla madre, preferiscono stare aggrappate ad un pupazzo caldo e soffice fatto di pelliccia, piuttosto che ad uno di ferro munito di una tettarella che le nutre.
Amare e legarsi è insito nella natura.
Il famoso psicoanalista H.Kohut sosteneva che il bambino avesse un “Sé potenziale”. Nel senso che, appena nato, il bambino non è dotato di una coesione identitaria sufficiente, ma trattandolo i genitori “come se” avesse già una personalità, questo permette a quel magma di pulsioni inconsce di prendere forma.
Se questo movimento reciproco è evidente ed esplicito nei primi anni di vita, il processo non è assente nella vita adolescenziale prima e adulta poi.
La persona interiorizza la relazione tra se stessa e i propri genitori, formando stili di attaccamento precisi che lo guidano e lo influenzano nella capacità di esperire le emozioni e di instaurare relazioni.
Il duplice e faticoso lavoro a cui ognuno di noi è chiamato, è il mantenimento di quel sottile equilibrio tra individuo e persona.
Individuare significa definire, caratterizzare, specificare. Abbiamo bisogno di conoscerci e riconoscerci nelle nostre particolarità, nei nostri punti di forza e di debolezza.
Persona, in latino, era invece il nome della maschera utilizzata dagli attori nel teatro che, per la sua conformazione, permetteva alla voce di risuonare nelle orecchie degli spettatori. Abbiamo bisogno di risuonare nelle orecchie degli altri per esistere.